La Spressa delle
Giudicarie ha una tradizione produttiva assai antica: veniva infatti nominata in documenti risalenti al XIII secolo. È un formaggio di latte vaccino, che deriva dalla lavorazione di un latte crudo proveniente da due o più munte scremate parzialmente. Dopo la salatura della forma - opportunamente pressata, ecco l’origine del nome - viene messa a stagionare: da un minimo di 3 fino a 6 e più mesi.
Un tempo veniva prodotto prima di trasferire le vacche in alpeggio: era quindi un prodotto residuale, poiché dal latte si voleva ricavare la maggior parte di burro, pagato in maniera più remunerativa. Quindi con il latte si produceva un formaggio povero, il cui consumo era destinato alla famiglia. La Spressa, come prodotto dunque della tradizione casearia contadina, formaggio semimagro da tavola, a pasta semidura e fermentazione naturale, ottenuto da latte crudo, esclusivamente “a fieno”, il che gli conferisce fragranze, profumi e sapori propriamente alpini, unici ed indimenticabili. Un prodotto di montagna dalla storia antica e dall’aroma delicato, che nel tempo ha saputo entrare in sinergia con la modernità, perché le attrezzature ed i moderni disciplinari di produzione non hanno modificato le note che questo formaggio è in grado di regalare all’olfatto ed al palato, e la cultura della tavola va oggi oltre l’alimento, confermando la Spressa come un testimone di un modo di vivere e di lavorare che oggi non ci sono più.
Sapido, estremamente digeribile, da provare con la polenta, possibilmente quella ottenuta dalla farina di
Storo, ma anche interessante da fuso nell’abbinamento alle carni rosse ben cotte; e per chi predilige la verdura, la Spressa è ottima anche in insalata, tagliata a dadini, con funghi e radicchio.